Che destino meritano i creditori senior delle banche venete

Seconda lenzuolata di titoli oggi sul piano di salvataggio delle Banche Venete. Come un jab al plesso solare ci raggiungono i due articoli di Alessandro Barbera e Gianluca Paolucci sulla Stampa e di Alessandro Greco su Repubblica: ci danno due stime del conto finale per le casse dello Stato, tra 12 e 13 miliardi; ottenuti con un mix di voci molto diverso, ma l’ordine di grandezza è quello. In parte recuperabile (con alea) dalla cessione delle partecipazioni non rilevate da Intesa e, si spera, con recuperi su NPL superiori a quelli scontati allo scorporo.

Mario Seminerio aveva anticipato ieri un conto tra 10 e 15 miliardi e ribadisce oggi la conclamata assurdità di un bail-out che brucia una tale montagna di soldi nostri per evitare il sacrificio di 10 miliardi di debito senior sottoposto a bail-in.

Il punto è delicatissimo, un vero campo minato. Ma dobbiamo affrontarlo, perché la gente, giustamente, si inc..erà all’idea di spendere più di 10 miliardi per recuperare due banche finite (male) lì dove sono per colpa di tanti, e non per una calamità naturale. Per questo raccolgo qui fatti e idee sul bail-in del debito senior: l’idea da cui è nato, come ha funzionato in passato, come potrebbe funzionare se le Venete fossero risolte (scenario che non dovrebbe accadere).

Se un male ci affligge e qualcuno ci propone un rimedio, vediamo come funziona questo rimedio, quanto costa, che effetti collaterali produce.

L’idea primigenia del bail-in

Il bail-in è figlio del terrore scatenato dal fallimento della Lehman Brothers Bank. Nel caso Lehman, la scelta per la liquidazione del gruppo ha fatto in modo che perdite latenti su attivi illiquidi stimate inizialmente in 25 miliardi di dollari si traducessero in perdite realizzate per circa 150 miliardi di dollari a carico degli azionisti e dei creditori della banca. Si è quindi affermata una nuova filosofia nella gestione delle crisi bancarie, per la quale deve essere il mercato a farsi carico dei costi della loro risoluzione. Secondo questo approccio, il deficit patrimoniale che emerge in una banca in dissesto deve essere ripianato dai creditori della banca stessa, limitando la protezione pubblica ai depositi che beneficiano dell’assicurazione obbligatoria e ad altre passività di natura operativa che sarebbe complicato esporre al rischio di default.

Molti riconoscono la parternità dell’idea a Wilson Ervin, che ai tempi del crack Lehman era Chief Risk Officer del gruppo Crédit Suisse. Ha illustrato il concetto in un articolo dell’Economist del 2010 e in una successiva intervista. Il bail-in è pensato per attuare una ristrutturazione rapida, analoga nello spirito al Chapter 11 del diritto fallimentare USA, con lo scopo principale di preservare il valore dell’attivo dell’intermediario in crisi rispetto allo scenario di liquidazione.

A livello di sistemi bancari, l’archetipo del bail-in ha preso la forma più radicata in Svizzera, dove i due gruppi maggiori, UBS e il citato Crédit Suisse, si sono dotati di una robusta cintura di strumenti di capitale AT1 e di debito subordinato ben prima che il Financial Stability Board lo rendesse obbligatorio come requisito TLAC. Ma il bilancio di quelle banche è più importante, per il benessere della nazione elvetica, di quello dei cantoni e dello stato federale.

Casi precedenti di bail-in del debito non subordinato nell’Unione Europea

Parrà strano, ma la letteratura sui casi di crisi bancaria in Europa prima e dopo la BRRD non è abbondante. Manca una rassegna sistematica con analisi costi/benefici. Ci sono dei buoni studi con rassegne di casi come Dübel (2013) e World Bank (2016). Il policy report di Philippon e Salord (2017) li riprende.

Da questa letteratura, quali esperienze rappresentano casi idealtipici di bail-in forzoso del debito senior? I più importanti e citati sono tre:

  • Danimarca 2011, Amagerbanken, piccola banca esposta sul settore immobiliare; la Danimarca aveva introdotto nel 2009 il Banking package II, che riconosceva la garanzia pubblica sui bond bancari; per ridurre i costi dei molti salvataggi effettuati, nell’ottobre 2010 la Danimarca è passata ad applicare (primo Paese nella UE) un regime di risoluzione che consentiva di ridurre il debito senior non garantito, anticipando la BRRD; questo bail-in ante litteram lo si è applicato all’Amagerbanken nel febbraio 2011, col write down di una posizione di senior unsecured bond per 260 milioni di euro (un tempo provvisti di garanzia pubblica nel frattempo scaduta); non furono toccati i bond garantiti dallo Stato (1,3 miliardi); i depositi non assicurati furono privilegiati rispetto ai restanti senior unsecured bond e parteciparono al riparto della liquidazione della banca; una decina di altre crisi di banche simili furono trattate in maniera analoga;

  • Cipro 2012-2013, primo banco di prova a seguito della tremenda crisi bancaria seguita allo scoppio della bolla del centro finanziario off-shore germinato sull’isola; qui furono colpiti tutti i depositi non assicurati, in gran parte depositi di facoltosi investitori esteri; è chiaramente un caso outlier, paragonabile a quello dell’Islanda;

  • Danimarca 2015, Andelskassen JAK Slagelse, primo caso post BRRD; nel marzo 2015 questa piccola banca presenta un piano di risanamento, inefficace, e nell’ottobre 2015 l’Autorità di risoluzione danese la giudica a rischio di dissesto ponendola in risoluzione; la valutazione degli attivi evidenzia perdite tali da richiedere la cancellazione di azioni, subordinati e di tutto il debito senior, compresi i depositi non assicurati di privati e PMI; si cerca poi di vendere la banca ripulita a Rolf Damman, un investitore di private equity svedese, ma la cosa non va in porto; la banca è messa in liquidazione nel novembre 2016; non si salva nulla, a parte i depositi coperti da assicurazione obbligatoria.

Ci sono altri casi, ma l’evidenza empirica conosciuta è questa: applicazioni molto rare e mai risolutive, eccetto il caso del tutto anomalo di Cipro. Nel caso danese, gli episodi di crisi (non solo l’uso del bail-in) hanno di fatto espulso le banche piccole e medie dall’accesso al mercato obbligazionario. Ci sono voluti anni per recuperarlo passando attraverso una forte concentrazione del settore. Attualmente, colossi come Danske Bank non hanno problemi a emettere bond eligible TLAC-MREL. Buon per loro che riescano a far provvista per proteggersi dai bail in futuri. Ma la tenuta di queste nuove barriere non è stata ancora provata.

Che cosa implicherebbe il bail-in delle banche venete

La massa aggredibile dal bail-in

Se per qualsiasi motivo fallisse l’attuale piano di liquidazione coatta amministrativa (LCA) con cessione del ramo veneto sano delle due banche a Intesa, che cosa accadrebbe? I due gruppi bancari verrebbero posti in risoluzione. A livello consolidato (comprendendo quindi Banca Apulia e Banca Nuova, entità che nella LCA sarebbero cedute), si andrebbero a impilare gli strumenti sottoposti a bail-in (riporto qui valori dai bilanci consolidati a fine 2016, modificati dagli eventi successivi noti, e elenco solo le voci che pesano):

  • alla base, e primo a essere intaccato, il common equity che a valori di bilancio valeva 3,8 miliardi a fine 2016, sulla Stampa oggi si riporta una riduzione nel primo trimestre (presumo) di un miliardo, ne dovrebbero restare 2,8 miliardi (cifra ovviamente da verificare);

  • poi le obbligazioni subordinate pari a circa 1,25 miliardi;

  • poi il debito senior non privilegiato soggetto a bail-in così composto (tutte le componenti sono trattate pari passu, quindi sono colpite da una stessa quota di falcidia per riduzione o conversione)

    • le obbligazioni senior unsecured, che si possono stimare in 7 miliardi, indicativamente suddivise 50-50 tra retail e istituzionali, con una presenza significativa in entrambi i casi di investitori "dinamici" entrati sui titoli a prezzi sotto la pari (mai comunque scesi significativamente sotto 90, e in recupero dopo l’annuncio del piano Intesa-MEF);

    • le obbligazioni con garanzia dello Stato emesse in febbraio e giugno 2017 ai sensi del DL 237/216 e collocate presso investitori terzi; dai comunicati delle due banche ammontano a 2,6 miliardi; avete letto bene, nonostante rechino la manleva dello Stato (garanzia personale secondo Basilea, non reale) sono soggetti a bail-in per le ragioni dette in questo parere EBA del febbraio 2015; ma sono anche garantiti dallo Stato, per cui l’investitore è protetto ma la perdita da bail in ricade sul bilancio pubblico; non a caso rendono poco sopra il BTp (cedola di 0,4% per scadenza 2019 e 0,5% per scadenza 2020);

      • i restanti 7,5 ,miliardi di queste obbligazioni con garanzia pubblica non sono soggetti a bail-in perché sono stati riacquistati dalle banche e utilizzati come collateral di provvista secured sul mercato interbancario (non mi risulta che siano stanziati per rifinanziamento BCE); questa provvista non è bail-inable secondo la citata opinione dell’EBA essendo garantita da asset della banca;

      • ci sono poi 7 miliardi di rifinanziamento BCE, anch’essi esclusi dal bail-in perché collateralizzati da attivi della banca, in prevalenza da titoli di Stato o da cartolarizzazioni di prestiti;

    • i depositi non coperti da assicurazione obbligatoria (sopra i 100.000 euro) esclusi quelli detenuti da famiglie e PMI; si tratta soprattutto di conti di imprese di non piccole dimensioni; difficile stimarne l’entità; dovrebbero essere rimasti soltanto quelli di clienti che hanno linee di credito con le banche venete e sono quindi sollecitate ad appoggiare qui il loro cash management; tutti quelli che hanno potuto farlo dovrebbero aver spostato altrove i loro saldi a credito; quelli che non l’hanno fatto, se lunedì esce il decreto della LCA, se li vedranno congelare finché non scatta la migrazione del pacchetto good bank verso Intesa; se il piano Intesa va a pallino e si rimane nel limbo, in aria di risoluzione, fuggiranno tutti con la conseguenza di precipitare una crisi di liquidità; comunque, penso che la parte maggiore di questi conti in caso di risoluzione vada a compensarsi con crediti per impieghi più che costituire massa di assorbimento delle perdite;

    • eventuali depositi interbancari unsecured; non ho i dati, ma secondo voi ne sono rimasti?

  • sovrastano la pila i depositi detenuti da famiglie e PMI non coperti da assicurazione obbligatoria (sopra i 100.000 euro); anche qui non possiamo fare stime precise; per la componente PMI possiamo fare ragionamenti simili a quelli appena proposti per le altre imprese.

Il resto del passivo della banca, salvo voci secondarie che non menzioniamo, è escluso dal bail-in.

Una simulazione grezza del caso di risoluzione

Alla fine della fiera, a quanto ammonta per l’insieme di BPVi e VB la massa a disposizione della riduzione/conversione che consentirebbe di evitare o ridurre il salasso per lo Stato? ecco i totali:

  • 4 miliardi di total capital tra CET1 e subordinati;

  • 7 miliardi di obbligazioni senior unsecured (ovviamente tolti quelli con garanzia statale);

  • una quantità imprecisata di depositi da clientela non assicurati, che sarebbe comunque "volatile" per la parte che non è a supporto di linee di credito tradotte in impieghi; consentitemi di non fare affidamento su questa componente, la cui "aggressione" porrebbe tra l’altro problemi legali non banali.

Ora, i conti fatti sui quotidiani di oggi parlano di perdite che emergerebbero dalla risoluzione per 12-13 miliardi. Teniamo 12 miliardi come riferimento. Il totale, composto in prevalenza da maggiori rettifiche su NPL, non è stabile, e ci sono componenti che si possono discutere, come la valorizzazione delle attività fiscali (DTA) o il fabbisogno di capitale della good bank e le spese per fondo esuberi.

Ricordiamo che si potrebbe/dovrebbe fare uso del Fondo di risoluzione nazionale una volta consumata la massa bail-inable per almeno l'8% del totale passività e fondi propri. Facciamo due conti veloci: il totale di bilancio consolidato delle due banche a fine 2016 era 62,5 miliardi, per cui l'8% fa 5 miliardi tondi, quindi il fondo di risoluzione si potrebbe attivare per il 5% dello stesso aggregato (fanno 3,1 miliardi circa), La waterfall delle riduzioni a fronte di un deficit patrimoniale di 9 miliardi sarebbe questa:

  • 4 miliardi di total capital;

  • 1 miliardo di debito senior;

  • 3,1 miliardi di apporti dal fondo di risoluzione (richiamati dalle altre banche)

  • restano scoperti 12 - 7,1 = circa 5 miliardi coperti con riduzione ulteriore del debito senior.

Alla fine, la falcidia di CET1 e T2 sarebbe al 100%, mentre il senior andrebbe colpito per 6 su 7 miliardi (incidenza 86%), con un tasso di recupero (per modo di dire) del 14%.

Però attenzione, che stiamo facendo il conto un tant al tocc del chocolate vendor (secondo la BRRD, per il TUB "cioccolatiere", preferibile nell’Italia centro-meridionale a "cioccolataio"). Lo scenario di risoluzione sarebbe tutto da disegnare, e molto diverso da quello di LCA che è ora sul tavolo. Quali sono le principali differenze tra i due casi? Le elenco telegraficamente:

  • con la risoluzione viene meno l’abbraccio della parte sana delle banche da parte di Intesa, per cui si deve tornare a un’ipotesi tipo quattro banche, con la creazione di una o due bridge bank autonome da ricapitalizzare in modo che possano continuare la loro attività; il punto debolissimo dello scenario alternativo è questo, le bridge bank mantenute in rianimazione per qualche mese senza una prospettiva costerebbero uno sproposito; a meno che non si trovi un acquirente disposto a valorizzarle meglio di Intesa;

  • le perdite per provisioning degli NPL sarebbero perdite che emergerebbero tutte subito; nel caso si cedessero i portafogli deteriorati a fondi specializzati sarebbero perdite definitive; con la LCA si può studiare una configurazione di veicolo/bad bank tipo la mitica SGA del Banco di Napoli, reincarnata nella REV creata per le quatrro banche; una parte del salasso immediato sarebbe recuperato con gli utili dell’attività di recupero rispetto ai prezzi di carico, a beneficio dello Stato (come avvenuto per SGA e, si spera, per REV); in alternativa si potrebbero operare, in maniera ragionata e d’intesa con la DgComp, delle extrarettifiche meno severe, e ridurre così le svalutazioni caricate sulle old bank.

Pertanto, anche ipotizzando il bail-in della quasi totalità del debito senior rimarrebbe una dotazione di capitale che andrebbe comunque integrata (per cifra superiore al miliardo di senior che rimarrebbe convertibie) e sarebbe da ricostituire tutta la raccolta obbligazionaria.

Dalla risoluzione uscirebbero due banche fragilissime, che non starebbero in piedi da sole.A quel punto, o arriva un nuovo bidder verso il quale fare una vendita (ma a che prezzo pensate che le compri?) oppure si getta la spugna, e si passa alla liquidazione.

Come è avvenuto in Danimarca nell’unico caso (Andelskassen) di bail-in del debito senior post BRRD.

Siete così smaniosi di provare l’ebbrezza del bail-in? Un rimedio che non è MAI stato provato in una situazione di dimensioni e complessità paragonabili a quella della Banca popolare di Vicenza e di Veneto Banca? Volete dare fuoco al deposito dei mortaretti? Non farete la festa di Piedigrotta. Finirete in cronaca come quei tipi loschi che maneggiano esplosivi nel garage.

E alla fine si tornerebbe a Canossa, liquidando le banche. Unico beneficio, l’illusione di aver risparmiato dei soldi pubblici che poi si spenderebbero lo stesso. O lo sfizio di aver fatto inc..re (o peggio) qualche migliaio di investitori.

Può darsi che in altre situazioni il bail-in funzioni benissimo, perché c’è uno stock più ampio di debito senior, perché si interviene prima e meglio, o per quello che volete voi. Ma nel caso per cui lo si sta valutando come rimedio alternativo non funziona, fa soltanto maggiore danno.

Ma l’Europa lo vuole!

A queste obiezioni basate su criteri di sensatezza e praticabilità nel caso specifico di cui stiamo parlando i sostenitori nel bail-in, a mia conoscenza, non hanno mai risposto.

Qual è il loro argomento risolutivo? Il bail-in fa parte della piattaforma europea di gestione delle crisi, è l’unico strumento che consente di conciliare tutti gli obiettivi posti dalla BRRD, tra cui quello cruciale (per l’Italia) di evitare salassi dei conti pubblici. La superiorità, l’equità, l’efficacia, la razionalità del bail-in sono una sua proprietà generale ed astratta, dimostrata a priori.

Anche questa cosa va dimostrata nei fatti: il bail-in, se partorisce una liquidazione dopo una specie di romanzo sadomaso (questa volta reale, non la parodia di Fabio Scacciavillani), non chiude nessun problema, esaspera l’impatto sociale della crisi, e alla fine siamo di nuovo in emergenza. Chi interviene in caso di emergenza? Giusto, lo stesso Stato che si voleva proteggere dal salasso.

"L’Europa" ha ben presenti questi effetti collaterali. Lo dimostra il fatto stesso che il piano Intesa-MEF sta ricevendo ascolto sia a Francoforte sia nella Bruxelles dei politici, sia nella Bruxelles dei tecnocrati.

Allora siamo nella migliore delle liquidazioni possibili?

No, no, no, e poi no. È una cosa avvilente il percorso sgangherato col quale si è arrivati a questa che pare l’ultima spiaggia. Non mi è piaciuto il tono ultimativo con cui Intesa Sanpaolo ha comunicato le sue condizioni, anche se da uomo di mondo so che non sono pane del forno milanese, o torinese. Sono pari pari le condizioni dettate dagli investitori, altrimenti pronti a castigare il valore di mercato della banca.

Al momento non abbiamo un piano vero di salvataggio delle good bank e di sistemazione del resto. Abbiamo un elenco di problemi da risolvere. Quando saranno messi in fila, ci si accorgerà che serve una duttilità creativa, una capacità di dialogo che finora non si è vista (non c’è stato nemmeno il tempo).

Mi spiego con degli esempi. Intesa esige che la parte good delle banche venete le sia consegnata contro pagamento di 1 euro pulita e capitalizzata, e sussidiata per i costi di riorganizzazione. Il vincolo posto è chiaro: l’operazione Veneto non deve toccare i flussi di cassa verso gli azionisti, nel senso di mantenere il flusso di dividendi ed escludere appelli per aumenti di capitale. OK, ma questo non è il deal, è soltanto una sua condizione al contorno. Come accennavo ieri, ci sono tanti dettagli da mettere al loro posto e da disegnare e colorare. Non sono al momento in grado di dimostrarlo coi dati, ma alla luce dei modelli di valutazione delle banche, mi suona strano che un ramo d’azienda consegnato pulito e capitalizzato valga un euro. Può essere così se si ipotizza che i costi di integrazione non coperti dai sussidi si mangino tutto il valore di mercato del patrimonio netto (il quale, lo ripeto, c’è ed è in linea con i fabbisogni, non c’è la zavorra del capital gap negativo). Oppure vuol dire che ci sono delle sinergie negative, nel senso che si distrugge valore del ramo veneto attuale del gruppo Intesa. Non lo so, le spiegazioni possono essere tante. Però voglio sperare che alla fine l’operazione riesca a salvaguardare il valore del capitale che lo Stato (questo è il caso base) metterà a disposizione dell’acquirente. Di tutto ciò penso che si debba tenere conto, magari introducendo delle clausole di partecipazione dello Stato al recupero di valore dell'asset ceduto, opportunamente accertato.

Altro punctum dolens: il costo per le casse statali. Anche qui, possono esserci dei margini di aggiustamento. E per dimostrare che non soffro di allergia al bail-in, dico che non escludo a priori altre forme di sacrificio controllato dei debitori senior, da utilizzare in caso di bisogno, e con molto tatto. Sul tema si potrà tornare più approfonditamente, se servirà. Queste forme "volontarie" sono state sperimentate, ad esempio, in Grecia per il salvataggio della Panellinia Bank, che ha comportato la cessione di attività e passività selezionate con procedure competitive. Nel caso nostro, si potrebbe concepire un trasferimento del debito senior dalle old bank a Intesa separatamente dalla cessione del resto del ramo good bank, magari con la sostituzione dei bond esistenti con bond Intesa con un rapporto di concambio alto, ma inferiore al 100%. In questo modo si potrebbe applicare un po' di burden sharing con juicio (se la Vestager dovesse esigerlo), e creare dell'equity aggiuntivo sulle banche in liquidazione. Senza penalizzare sostanzialmente i debitori senior, che scampano un pericolo esiziale, se valgono le cifre che ho azzardato prima sul caso di risoluzione.

Non è detto che le due cose che ho accennato servano, ma se si dovessero cercare dei gradi di libertà, potrebbero essere degli strumenti. Questi, come tanti altri che si possono immaginare.

La libertà di esprimersi

Non sono venuto qui come Marco Antonio per tessere l’elogio del bail-in (l’avrete capito), ma nemmeno per seppellirlo perché mi sta antipatico lui, o i suoi sostenitori. Forse qualcuno di opinione diversa obietterà che la mia è una posizione politica, prona alle direttive e alle veline che gli "accademici" riceverebbero dalle Autorità e dalle grandi banche. Non vale. Questo non è dibattito, è denigrazione, offesa gratuita.

Chi fa critiche di questo tipo forse è invidioso della quasi totale libertà che lascia, in Italia, la professione accademica. Non devo rispondere a nessuno di quello che scrivo e che affermo. Lo Stato mi paga regolarmente uno stipendio (buono, coi tempi che corrono) e mi chiede soltanto di tenere dei corsi e di produrre risultati tangibili della ricerca. Potrei davvero scrivere una serie di romanzi (non sadomaso, però) a sfondo finanziario, altro che un monologo. O starmene a casa a suonare (maluccio) la mia chitarra a sette corde.

Se mi si obietterà "dici così perché sei un accademico prono ai voleri delle Autorità", mi dispiacerà molto, ma non ne sarò ferito. Perché l’unica cosa che mi preme è dare una piccola mano ad attraversare il grande caos nel quale siamo finiti, o ci siamo messi, lasciando che diverse banche andassero alla deriva. Facendo in modo di uscirne con il minor costo possibile in termini di sofferenza, paura, impoverimento. E senza scannarsi perché si è certi di aver ragione o, più realisticamente, per scaricare sugli altri sofferenza, paura e povertà.

Tutto quello che scrivo è un parziale, timido, provvisorio tentativo di approcciare un problema. Può essere messo in discussione, contestato, confutato con argomenti migliori, corroborati dalla conoscenza di prima mano e da quella sensibilità operativa che dalla mia scrivania posso soltanto cercare di emulare. Sarò il primo a essere contento di cambiare le mie idee e le mie proposte con altre più adeguate, comprensive, efficaci.

Luca Erzegovesi
Luca Erzegovesi
Professore di Finanza aziendale

Mi interesso di finanza delle Pmi, crisi bancarie e nuovi modelli di business bancari.

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