Separazione consensuale per le banche venete

Qualche schiarita sulla via d’uscita della Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca, dopo i foschi presagi di inizio settimana.

Premessa: pare definitivamente abbandonata la via della ricapitalizzazione precauzionale (con il rammarico del Presidente di BPVi Mion). Questo significa una cosa chiara: le banche sono in dissesto o a rischio di dissesto, e quindi devono essere trattate con una procedura di crisi. Attenti però alle sfumature (v. art. 20 DLgs 180/2015): procedura di crisi non significa per forza risoluzione (o peggio ancora liquidazione coatta amministrativa), ma può anche fermarsi alla riduzione/conversione di capitale e subordinati.

La risoluzione mette a disposizione un menu di quattro strumenti:

  1. Sale of business (usata per Banco Popular);

  2. Bad asset separationbad bank;

  3. Good asset separationgood bridge bank;

  4. Bail in non solo del capitale, ma anche del debito non assicurato.

Esclusivo della risoluzione è l’ultimo, il bail-in del tipo hard. Per cui il fattore scatenante della risoluzione è banale: un deficit patrimoniale eccedente il patrimonio totale di Vigilanza, che si riversa sul debito.

E sul punto il ministro Padoan è stato altrettanto chiaro: non ci deve essere bail-in del debito senior e dei depositi non assicurati (lo ha riscontrato ieri da Bruxelles la portavoce di Juncker).

Al Ministero dell’economia si lavora su una nuova soluzione basata sulla separazione degli asset sani delle due banche (crediti in bonis e titoli/tesoreria) e della raccolta in depositi, linee di credito e bond senior (che formano la cosiddetta good bank), da trasferire in fretta a un acquirente forte. Nella raccolta, a fine 2016 si contavano "Debiti verso clientela" (per lo più depositi) per 28 miliardi, Al loro interno, i depositi non retail sono ridotti al lumicino per il calo che è proseguito nei mesi successivi. C’è una massa di raccolta all’ingrosso garantita da bond propri con garanzia dello Stato (emessi per più di 10 miliardi da gennaio a oggi). Ci sono più di 7 miliardi di TLTRO dalla BCE (4,7 miliardi in BPVi, v. Bilancio 2016 p.44, e 2,6 miliardi in VB, v. Bilancio 2016 p. 107). Il portafoglio impieghi è stato in gran parte cartolarizzato per creare asset backed securities da usare come collaterale in BCE o altre operazioni di funding.

Di raccolta obbligazionaria verso clientela, senior e subordinata, ne è rimasta per pochi miliardi (sarebbe laborioso ricostruirla), molto meno di quella verso controparti istituzionali. La seconda non è passibile di bail-in, in quanto è garantita da asset della banca, e in caso di liquidazione coatta scaricherebbe rischi di default (avete visto di che entità) sullo Stato e sulla BCE. Tante buone ragioni per sistemare le cose prima che a qualcuno venga in mente anche solo di menzionare il bail-in del debito senior.

La parte rimanente del bilancio sarebbe allocata a una bad bank. In questo si seguirebbe la formula usata in Portogallo per il gruppo Espirito Santo, portato avanti come old/bad bank dalla quale è stata separata la good bank Novo banco, con varie traversie successive che non stiamo a ricordare. Nel caso delle venete, si parla (articoli di oggi che cito dopo) di trasferire sulla bad bank le azioni e le obbligazioni subordinate, evitando di azzerarle (potrebbero partecipare a eventuali insperati recuperi di valore degli NPL).

Il personale sarebbe preso in carico dall’acquirente della good bank, che dovrebbe gestire gli esuberi con il Fondo di solidarietà di settore, opportunamente rifornito di apporti extra dallo Stato.

Non è chiaro come saranno capitalizzate la bad bank e la good bank. Ci sono i fondi del DL 237/2016, che però erano destinati alla ricapitalizzazione precauzionale, soluzione approvata per MPS, che a questo punto è definitivamente abbandonata sul fronte Veneto.

Lo snodo delicato è proprio questo: come far fronte al consumo di capitale dovuto, nell’ordine:

  • alle perdite che probabilmente emergeranno sugli NPL (anche se si potranno moderare grazie al contestuale trasferimento di azioni e subordinati, non azzerati);

  • alla necessità di capitalizzare la bad bank;

  • alla dote di capitale per la good bank a corredo del suo pacchetto di attività e passività che sarà incorporato nel perimetro del gruppo acquirente.

Su quest’ultimo punto i potenziali acquirenti di cui si parla (Intesa Sanpaolo e in seconda battuta Iccrea) pare siano stati chiari: sono disponibili a entrare, ma senza impegnare free capital. Né paiono nella possibilità, o nell’intenzione, di chiedere questo capitale che mancherebbe al mercato, come invece sta facendo Santander per il Banco Popular.

Di fondi statali ce n’è a sufficienza sugli stanziamenti del DL 237/2016. Il problema è trovare i varchi giusti per farli entrare nei bilanci dei vari veicoli. Occorre evitare un campo minato che si formerebbe in caso di emersione di perdite eccedenti la somma di CET1 e T2. Un ammanco di capitale farebbe scattare la risoluzione apertis verbis e dovrebbe essere coperto col bail-in del debito senior. Si farà di tutto per scongiurarlo per le ragioni dette prima.

Non azzardiamo ipotesi tecniche, visto che la migrazione sarà pilotata in spazi molto stretti, con soluzioni legali (presumo) cucite su misura. Aspettiamo di conoscerle. È quasi certo che lo Stato finanzierà generosamente il Fondo di solidarietà del personale bancario, che assorbirà buona parte del costo di sistemazione degli esuberi.

Sta emergendo un elemento positivo (per cui vedo una schiarita, come esordivo): si è riconosciuta la necessità di consegnare il buono che rimane delle gestioni in mani forti, evitando il limbo di una bridge bank di belle speranze, ma senza pretendenti. Dei due nomi che circolano, quello più credibile è (ovvio) Intesa Sanpaolo. Iccrea, per quanto ben capitalizzata, deve affrontare il varo del suo gruppo bancario cooperativo, con la BCE che l’aspetta al varco con una Asset Quality Review prima di fine anno. Sappiamo che la Supervisione bancaria ha in programma un giro di vite sulle piccole banche. Non è il momento di caricarsi di altri RWA sperando che il capitale seguirà. Sono finiti quei tempi.

Per concludere, ecco gli umori del momento raccolti da alcuni quotidiani oggi.

Il quotidiano più ottimista sulla soluzione Intesa è il primo, una testata locale. Chiaro che faccia il tifo per la strada più capace di dare serenità a molti suoi lettori. Anch’io faccio il tifo per Intesa Sanpaolo, tant’è che stanotte all’una ho aggiornato la mia mappa dei percorsi di uscita:

Far guarire bene le grandi malate (oltre alle due venete il Monte dei Paschi) è un imperativo per il sistema bancario italiano. Cogliamo questa occasione per dare una registrata generale a strategie, struttura finanziaria, patrimonio, organizzazione e personale, tecnologia, tutti fronti sui quali molti attori hanno dato risposte tardive e inadeguate.

La soluzione dei dossier di crisi è una vetrina per mostrare al mondo, alle istituzioni europee e agli investitori, che abbiamo capito il cambio d’epoca, e siamo al lavoro su tutta la linea. Ma per convincere gli altri dobbiamo essere convinti noi, e qui ci vuole qualche colpo di genio, un coraggio da leoni e tanta pazienza nel ricostruire.

Luca Erzegovesi
Luca Erzegovesi
Professore di Finanza aziendale

Mi interesso di finanza delle Pmi, crisi bancarie e nuovi modelli di business bancari.

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