Crisi bancarie: punto di svolta

Con la sospensione del rimborso del bond subordinato Veneto Banca, attuata il 16 giugno con Decreto legge, il Governo sembra annunciare un cambio di approccio alle crisi bancarie. Il provvedimento serve a mantenere la par condicio tra i detentori di questi strumenti di capitale in vista del probabile burden sharing o bail in. Si è sospeso il rimborso per non più di tre mesi, applicando una tecnica che richiama l’art. 74 del Testo Unico Bancario relativo all’Amministrazione straordinaria.

Si è anche avviata, ufficialmente, la ricerca di possibili compratori per le due banche o per le loro partecipazioni. Non ci sarebbe nessuna urgenza di farlo in caso di opzione ferma per la ricapitalizzazione statale. Se si esplora l’interesse di possibili bidder, vuol dire che sono allo studio altre vie di soluzione.

Siamo probabilmente a un punto di svolta. Il primo segnale l’avevo raccolto ieri, in questo pezzo sul Corriere di Federico Fubini, come sempre tra i primi a raccogliere i mutati pensieri e umori dei Palazzi. Per la prima volta si ragionava sui costi (enormi) e sui benefici (relativi) del progetto Nuovo Banco Veneto. Una riflessione disincantata, lontana dai toni apocalittici usati pochi giorni prima dall’attuale capoazienda Fabrizio Viola, così come da quelli antitedeschi di Matteo Renzi che "mette le birbe alla berlina", echeggiati da Giovanni Pons.

Ufficialmente, il percorso non cambia. Il Governo punta a raccogliere capitali privati per 1,25 miliardi di euro, come richiesto dalla Direzione concorrenza UE. Passo successivo, si spera, il via libera alla ricapitalizzazione precauzionale, che dovrebbe far decollare il progetto di fusione delle due banche in un Nuovo Banco Veneto. Questa è la versione ribadita dalla maggior parte dei quotidiani oggi (v. questo thread).

Con un’eccezione: per Alessandro Barbera e Gianluca Paolucci sulla Stampa l’ipotesi di salvataggio con ricapitalizzazione precauzionale è definitivamente tramontata:

Il piano A per salvare le banche venete è tramontato. Secondo quanto riferiscono fonti concordanti del Tesoro e delle istituzioni europee, la strada dell’intervento precauzionale finanziato dallo Stato per oltre cinque miliardi non è percorribile. Impossibile rispettare le regole europee, impossibile trovare banche disponibili a investire anche solo qualche decina di milioni su due soggetti con una struttura dei costi insostenibile. Il tentativo del governo di una «colletta di sistema» per garantire una parte dell’aumento di capitale è naufragato di fronte ai troppi no. Da qualche giorno nelle trattative con le grandi banche per evitare il fallimento di Vicenza e Veneto si parla apertamente di «risoluzione», e della loro cessione ad un prezzo simbolico. Attenzione però: lo schema al quale lavora Via XX settembre - che da ieri si avvale di Rothschild come advisor - non è sovrapponibile a quello che ha permesso alla spagnola Santander di acquisire in una notte il Banco Popular. La situazione delle venete è ormai tale da rendere quel tipo di operazione indigeribile persino per le spalle larghe di Intesa e Unicredit.

Pare che siamo giunti allo stadio 3 del percorso che avevo sommariamente tracciato qualche giorno fa.

Il salvataggio lampo del Banco Popular in Spagna, pur con tutte le sue ombre, ha prodotto uno shock in Italia. Il Ministro dell’economia de Guindos ha scommesso politicamente su un bail-in con vendita al Banco Santander nella veste di salvatore. I dietrologi sostengono che lo abbia fatto per ingraziarsi la Germania e assicurarsi una posizione di prestigio nelle istituzioni europee. Ma il messaggio "Niente costi per lo Stato" ha raccolto anche consensi in un Paese che dal 2012 ha speso qualche decina di miliardi per sistemare le sue banche. L’esatto contrario dell’approccio difeso strenuamente in Italia. In Spagna le Istituzioni hanno fatto più di un passo indietro quando il Popular si è avvitato nel loop tra carenza di capitale, timore di bail in, fuga dei depositi all’ingrosso, crisi di liquidità e caduta dei valori di Borsa. Il Governo non ha offerto garanzie pubbliche su nuovi bond, il Banco de España non ha fornito liquidità di emergenza nella misura richiesta. La crisi è stata affidata al lassez faire del mercato. Come l’US Department of Defense impiega dei contractor in azioni sul campo, così de Guindos ha dato in outsourcing al Santander la copertura dell’ammanco di capitale e la gestione del contenzioso con gli investitori azzerati.
Ma forse qualcuno sospetta che Santander sia stato forzato. È presto per giudicare. Resta il fatto che l’operazione è stata chiusa in una notte, e tutto ciò che è stato fatto era già scritto nella due diligence dell’acquirente di poche settimane prima. Nella investor call tenuta poche ore dopo la risoluzione, la Presidentessa Ana Botín ne spiegava l’effetto neutrale o positivo sul valore dell'equity (qui il resto della documentazione). Santander raccoglierà sul mercato i 7 miliardi necessari per assorbire le perdite riportate dal Popular. Se riesce a farlo, vuol dire che il deal crea del valore, o almeno non ne distrugge.

In Italia no. Quando nel marzo 2016 si è posto il problema di ricapitalizzare le Venete, per l’importo ancora più robusto di 2,5 miliardi, il sistema ha risposto con il Fondo Atlante. La missione assegnata era dare continuità alle due banche sofferenti, evitando il bail in e lo smebramento. Anche allora è stata decisiva la pressione di esponenti del Governo (non di un usciere, aveva ironicamente commentato Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo). Atlante ha immesso un altro miliardo a cavallo della fine del 2016. Non è bastato.

Atlante si è fatto da parte, ed è sceso in campo lo Stato con la ricapitalizzazione precauzionale. Ma Bruxelles ha conteggiato un ammanco di capitale di 1,25 miliardi per perdite già note o probabili. Stop quindi alle risorse statali finché non si fosse raccolta quella somma con una colletta nel sistema. Ma i candidati benefattori sanno che quei soldi sarebbero sicuramente persi, perché l’apporto dello Stato nel migliore dei casi li diluirebbe a una quota priva di valore strategico e finanziario. C’è quindi un unico incentivo a dare un contributo: l’interesse ad evitare una risoluzione pesante, con possibili minacce per la stabilità finanziaria.

Tuttavia, la risposta delle banche è stata molto diversa da un anno fa. Troppi miliardi sono stati consumati sul dossier veneto e prima ancora sulle piccole banche salvate dai fondi di sistema. I due gruppi maggiori non hanno accettato la parte che in Spagna è stata di Santander: in un anno la loro governance è cambiata. In Intesa Sanpaolo pesano ancora le Fondazioni, in Unicredit dopo l’ultimo aumento di capitale sono ridotte a un ruolo marginale. In entrambi i gruppi sono i Fondi di investimento a suggerire le strategie. Il salvataggio di un’altra banca può avere senso, ma non deve distruggere valore. Se l’operazione non ha senso strategico, o se non è sussidiata dallo Stato o dal sistema (cosa non più possibile), non se ne parla nemmeno.

Anche il Governo e la Banca d’Italia si sono resi conto di questo. Mantenere in vita una banca così com’è, o fonderla con un’altra nelle stesse condizioni, ha un costo astronomico. Non lo può giustificare la tutela dei posti di lavoro. Potrebbe giustificarlo lo spettro di un dissesto tale da bruciare gran parte del valore rimasto lasciando scoperti molti debiti, assicurati e no, oltre a scatenare una paura contagiosa. È questa la nuova linea del Piave (restando in tema). Ed ecco l’altro cambiamento: non si ragiona più su quello che non deve succedere (failure is not an option), ma su quello che si può far succedere. Se cade, e sembra sia caduta, l’ipotesi di un doppio salvataggio alla Santander, si deve cominciare a fare ordine e a gestire, un pezzo alla volta, la grande migrazione delle poste di bilancio, dei clienti e del personale delle due banche verso approdi più sicuri.

Che cosa accadrà adesso? Il problema è costruire una soluzione, passo dopo passo. È iniziata la ricerca di compratori per gli asset sani delle due banche. Dovrebbe essere matura la soluzione per il portafoglio di crediti deteriorati. Per il personale, purtroppo, le prospettive sono plumbee. Ma questo non è soltanto un problema veneto, lo devono affrontare tutte le banche italiane (pensiamo al gruppo UBI dopo l’acquisizione di tre delle "quattro banche"). Speriamo che almeno il trauma di migliaia di esuberi concentrati in poco tempo su due banche faccia riflettere sulla necessità di un piano di sistema per i lavoratori bancari da congedare, da ricollocare, da riqualificare.

Lo confesso, mi sento smarrito anch’io. Pensavo che si fosse ormai lanciato il cuore oltre l’ostacolo sul dossier veneto, avendoci messo la faccia in tanti, oltre ai capitali ormai persi. L’opzione A (Banco Veneto) era pericolante, ma non pensavo che sarebbe caduto così presto il piano B del salvataggio per mano forte. Ora siamo alle prese col piano C. Tutto da tessere e stendere sul tavolo.

Aspettiamo di conoscere i contenuti del piano. Ci sarà un conto da pagare, non conosciamo ancora il totale e la sua suddivisione. Sarà salvato il debito senior? Speriamo. Non diamolo per scontato: lo Stato non ha più la leva della ricapitalizzazione per riempire la vasca e far galleggiare i valori di bilancio. Ogni posta sarà pesata e spostata. Potrebbero rimanere dei buchi. I soldi pubblici risparmiati andranno sugli ammortizzatori sociali e (forse) la sistemazione degli NPL.

Note
E ora, le ultime parole famose (rilette il 1° luglio):

Una cosa è certa: è finita l’era della gestione all’italiana delle crisi bancarie. Risposte precoci dalla solidarietà del sistema e, quando non basta (casi eccezionalissimi), supporto pubblico. Non ne parlo con disprezzo. Negli ultimi giorni, i massimi esponenti della Banca d’Italia ne hanno ricordato i meriti, come in un elogio funebre. Sì, perché parliamo di un passato che non c’è più. Al di là del fatto che fosse un sistema giusto o iniquo, efficace o distorsivo, è un sistema che non può funzionare, oggi. I fondi solidali si sono esauriti, quelli statali non si possono spendere, di fatto. Ancor più decisiva è stata la caduta del valore di avviamento di una banca "laqualunque", per cui i soldi messi per la continuità senza uno sbocco di business preciso vanno persi, irrimediabilmente. Autorità e Istituzioni italiane possono fare appelli per pubblica utilità, ma la loro voce è coperta da quella più imperiosa delle Autorità europee e dei mercati.

Warning
Mai sottovalutare il Paese di Italia - Germania 4-3!

Non si intristiscano i nostalgici, ma nemmeno esultino i paladini del progresso. Perché non è finita. Vediamo che impatto ci sarà sul Monte dei Paschi, che si dava già approdato in un porto sicuro. Vediamo che cosa succede negli altri istituti gravati da NPL. Prepariamoci al repricing del costo del debito delle banche italiane.

Ma a ogni giorno basta il suo affanno, e per oggi direi che ne abbiamo avuto abbastanza.

Buona settimana.

Luca Erzegovesi
Luca Erzegovesi
Professore di Finanza aziendale

Mi interesso di finanza delle Pmi, crisi bancarie e nuovi modelli di business bancari.

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