Audizioni Consob ed esperti su Carige: tesoro, mi si sono ristretti i mercati

Ieri si sono tenute due audizioni davanti alle Commissioni finanze congiunte: alle 9:00 hanno parlato i vertici dela Consob, la presidente pro tempore Anna Genovese e il direttore generale Angelo Apponi. Alle 13 è stata la volta di un panel di esperti composto da Paola Schwizer, Valerio Pesic e Marina Brogi (professori del mio settore, quello di Economia degli intermediari finanziari), Aldo Angelo Dolmetta e Giuseppe Guizzi (professori di diritto commerciale, il primo è attualmente giudice presso la Corte di cassazione).

Non ne darò un resoconto descrittivo. Mi soffermo su alcuni punti di interesse e di novità che sono emersi nelle relazioni e nelle domande e risposte con i parlamentari presenti. La relazione della Consob, molto dettagliata, è disponibile qui.

Qualche polemica con l’Autorità

Rispetto alle audizioni del ministro Tria e della Banca d’Italia, sono uscite alcune domande di tono polemico da parlamentari dell’opposizione (Fratelli d’Italia, Liberi e uguali, Forza Italia). Non riguardavano il caso Carige, ma la persona della Presidente Consob. La prof.ssa Genovese è stata invitata a chiarire il potenziale conflitto di interesse tra il suo attuale ruolo e l’attività professionale svolta in precedenza per uno studio legale che aveva tra i suoi clienti il gruppo Malacalza. La risposta è stata pacata, senza entrare nel merito (non aveva senso un’autoassoluzione), ma rinviando alle dichiarazioni rese sulle situazioni di incompatibilità all’atto della nomina, nelle quali Genovese non ha segnalato alcun impedimento. Una risposta elusiva secondo Meletti sul Fatto quotidiano. Tant’è, giusto per dare un’idea del clima a volte un po' teso, sarà anche per lo stallo nel processo di nomina del nuovo Presidente dell’Autorità dei mercati finanziari.

I processi di collocamento di Carige e l’eventuale mis-selling

Con i precedenti della Popolare di Vicenza e di Banca Etruria (per non citarne altri), i membri delle commissioni hanno chiesto rassicurazioni sulla correttezza dei processi di collocamento di azioni e obbligazioni subordinate Carige tra il pubblico. Ha risposto Apponi (in gran forma, lo stress delle audizioni a palazzo San Macuto è un lontano ricordo): dopo il cambio di governance nel 2013, Consob ha stretto i controlli sulla banca genovese su tutte le successive operazioni di aumento di capitale. L’Autorità ha esaminato con grande attenzione i prospetti informativi. Quanto alla profilatura dei sottoscrittori retail:

Carige ha previsto l’acquisizione di una dichiarazione olografa dall’investitore al fine di accertarne la piena consapevolezza dei correlati profili di rischio.

I numerosi controlli cartolari e i riscontri in loco sulle prassi di collocamento hanno fatto emergere delle irregolarità "non drammatiche". Non ha escluso che possa emergere ora qualche criticità [sarà inevitabile, visti i malumori che serpeggiano tra i piccoli azionisti e la sponda politica che questo governo offre alla speranza di un ristoro]. Ma non sarà come a Vicenza, due anni di gestione opaca in meno fanno la differenza. Potrebbero però esserci dei problemi per le cose accadute prima del 2013 (false comunicazioni sociali e malversazioni su società controllate).

Confermata anche da Consob l’assenza di investitori retail tra i detentori di obbligazioni subordinate esposte al burden sharing. Il presidente della commissione finanze del Senato lo ha apprezzato facendo notare che nel novembre 2015 non è andata così. Il prof. Dolmetta ha insistito sull’importanza di scongiurare nuove diffuse violazioni degli obblighi di trasparenza e correttezza, arrivando a invocare un divieto tassativo di self placement, cioè di collocamento di titoli della banca tra la propria clientela retail. Non so, per quella via si rischia di arrivare alla distruzione dei canali di funding diversi da quelli coperti dall’assicurazione dei depositi. Anche un deposito a tempo di 300 mila euro è una passività a rischio di azzeramento per il bail-in se la banca non riesce a dotarsi di un cuscinetto di obbligazioni subordinate e senior unpreferred, che in questo scenario potrebbe collocare soltanto tra investitori professionali. Non farei affidamento su divieti drastici. Dopo scandali e crisi non c’è bisogno di divieti perché i clienti scappano da soli. Quando invece domina la brama di crescere e di guadagnare, da una parte e dall’altra, i paletti saltano o si aggirano con facilità. Piuttosto, è meglio creare preventivamente le condizioni nelle quali la banca non ha bisogno di propinare ai clienti i rischi che nessun altro vuole. Lavoro lungo.

Consob ha dettagliato il trattamento delle nuove emissioni di bond garantiti dallo Stato ai sensi della normativa sui servizi di investimento. In caso di offerta al pubblico, e anche in quello di domanda di quotazione, non servirebbe il prospetto perché il bond assistito da garanzia statale è assimilato a un titolo pubblico. La banca chiederà probabilmente la quotazione per poter disporre di collateral stanziabile presso la Bce (che accetta marketable securities) e anche per rendere liquido l’eventuale investimento dei privati. Merita ricordare che l’ammissione agli scambi in Borsa dei bond garantiti può avvenire anche in presenza della sospensione degli altri titoli della banca. La garanzia pubblica trasforma il rischio emittente alla radice. Per collocare i titoli tra il pubblico la banca dovrebbe ovviamente rispettare le regole Mifid II, ma il rischio ridotto consentirebbe di indirizzarli anche verso soggetti con bassa competenza finanziaria e alta avversione al rischio.

La diffusione di informazioni sensibili e le turbative di mercato

La relazione presentata dalla Consob spiega bene le ragioni della sospensione degli scambi sui titoli della banca:

in circostanze legate proprio all’incertezza sui progetti di rafforzamento patrimoniale e al dipanarsi delle iniziative in corso da parte della Banca e delle competenti autorità per la vigilanza prudenziale. …​ [l’obiettivo delle sospensioni] è la tutela degli investitori, ai quali è solo temporaneamente preclusa la liquidazione o la effettuazione dell’investimento sul mercato regolamentato, perché queste avverrebbero sulla base di un set informativo e di un processo di formazione del prezzo di vendita o di acquisto non corretti.

In effetti è proprio così, non si può fare una valutazione senza un piano industriale che chiarisca il punto di approdo (l’agognata aggregazione) e il percorso in termini di richieste di capitale e conseguenti modifiche dell’azionariato. Al momento un privato che prendesse posizioni su azioni Carige scommetterebbe sull’esito delle trattative tra i commissari, gli attuali soci di riferimento (non proprio col coltello dalla parte del manico), il fondo interbancario di tutela dei depositi, i potenziali partner e il Tesoro, che può scendere in campo con un miliardo di ricapitalizzazione precauzionale, se le soluzioni "private" saranno precluse (previo Ok da Bruxelles e da Francoforte).

Chi vincerà e chi perderà la scommessa? Sarà una partita lunga. L’esito della prima mano dipende da un dato critico: il fabbisogno di capitale della banca genovese per il 2019 tradotto nel nuovo requisito Srep. Su questo punto il senatore Bagnai (lo cito così contestualizzate) ha denunciato l’effetto destabilizzante dei rumor e dei comunicati in tema di interventi di vigilanza: ha portato ad esempio la nota di MPS sul piano di svalutazione dei crediti deteriorati che ha prodotto dei tonfi delle quotazioni di quella e di altre azioni bancarie. Allargando il discorso in chiave più politica, Bagnai ha denunciato anche l’uso strumentale da parte di alcuni giornali di retroscena su presunti conflitti tra il governo in carica e le autorità europee (voci di uscita dall’unione monetaria e di procedure di infrazione della Commissione contro il fondo di indennizzo dei risparmiatori truffati voluto dal Governo). Di queste tensioni latenti si potrebbe parlare a lungo (e non parleremmo soltanto di retroscena, ma anche di dichiarazioni più o meno shoccanti rese da esponenti della maggioranza in piena luce). Apponi si è limitato a una risposta tecnica. Effettivamente gli obblighi di comunicare al mercato gli input ricevuti dalla Bce non sono per nulla chiari. Valgono le regole della direttiva sul market abuse (vedi articolo riassuntivo). Lo si deve fare quando le informazioni fanno parte delle disclosure obbligatorie (è il caso dei requisiti minimi di capitale), oppure quando sono sensibili, cioè possono influenzare i prezzi, dando così un vantaggio indebito a chi le ottiene prima sulla base di rumor. Fanno parte della seconda categoria le famigerate guidance sulle maggiorazioni dei requisiti obbligatori, tra le quali rientra l’altrettanto famigerato buffer delle perdite che emergono nello scenario avverso degli stress test.

Chiarito il punto, restiamo in attesa degli sviluppi. Se la soluzione sarà trovata fuori dal mercato (non è l’ipotesi sul tavolo oggi) tutto avverrà a scambi sospesi e non si porrà il tema degli abusi di mercato. Se invece si vorrà scommettere su una soluzione di mercato, sarà una gara interessante a chi ci capisce giusto prima degli altri.

Tutti pazzi per la governance

Perché Carige dopo il 2015 non ha risolto i suoi problemi? Ministro e autorità hanno dato una riposta concorde: tutta colpa della governance instabile e litigiosa. C’è del vero in questa affermazione, ma non coglie del tutto il problema. L’instabilità è figlia non soltanto dei temperamenti e della contesa per il controllo, ma anche dell’assetto strategico e patrimoniale della banca, non ancora sistemato. Gli azionisti privati hanno giostrato per il controllo della banca con capitali relativamente limitati (parliamo sempre di centinaia di milioni), ma il vincitore ha conquistato una posizione precaria e difendibile col sacrificio di capitali altrettanto ingenti, se non maggiori. Il tutto senza sapere se e quando la banca sarebbe stata in grado di camminare sulle sue gambe, tornare all’utile, pagare dividendi, recuperare valore e diventare così vendibile a un investitore strategico.

In passato, non soltanto in Italia, i soci controllanti di una banca stringevano un patto con le autorità di vigilanza: mettiamo capitale ora, ma siamo disposti a rabboccarlo in futuro se dovesse servire. Promessa sensata in uno scenario in cui fare banca creava valore con rischi tutto sommato governabili. Oggi è cambiato tutto. I supervisori sono dovuti diventare meno schizzinosi e accettare capitali anche da investitori opportunistici (detto senza offesa) come fondi chiusi e grandi family office perché lì ci sono i soldi e le banche investite dalla crisi mai avrebbero potuto ricostituire il capitale con la crescita "organica" degli utili. In un primo momento, come sappiamo, negli Stati Uniti e in Europa ha messo i soldi lo Stato, ma poi dovendo ritirarsi non aveva scelta: doveva far spazio alle "locuste" e ai raider.

Unite questa struttura dell’offerta di equity a una domanda sballottata dai fabbisogni di capitale legati ai diktat dei supervisori e otterrete un bel guazzabuglio. Per risolverlo, si deve chiamare di nuovo in gioco lo Stato (affiancato dal sistema bancario), unico investitore a poter mettere in campo tante risorse e tanta pazienza. Per ora, nel caso di Carige, il bomber da zona Cesarini è seduto in panchina, ma potrebbe cominciare a riscaldarsi a bordo campo.

Siamo in una situazione enigmatica. Lo ha fatto notare il prof. Guizzi: l’amministrazione straordinaria subentra nei poteri di gestione corrente delle società ed esautora il CdA e l’assemblea ordinaria dei soci, ma non quella straordinaria. Finché si rimarrà in regime di commissariamento, saranno gli attuali soci ad approvare l’aumento di capitale associato al nuovo piano industriale con la probabile ipotesi di aggregazione che lo accompagnerà o lo seguirà a ruota. Occorre perciò trovare una maggioranza che dica di sì nell’attuale azionariato. Se così non avverrà, si dovrà forzare il blocco nuovamente con un’azione governata dalla Vigilanza, la ricapitalizzazione precauzionale.

Insomma, la Vigilanza è un soggetto che svolge un ruolo decisivo nella governance di una banca, tanto più se la banca versa in stato di pre-crisi o di crisi. Lo rimarcava ieri la prof.ssa Schwizer. Per gli investitori questo diventa un ulteriore fattore di incertezza. La Brrd ha tentato di sciogliere l’incertezza con il meccanismo della risoluzione, inteso a rendere prevedibile la ripartizione dei costi del risanamento e a garantirne la copertura con risorse private e pubbliche senza rischi di contagio. Tuttavia, il meccanismo è scattato prematuramente e ha prodotto perdite impreviste e inique per chi le ha subite. Gli argini ai rischi di contagio si sono rivelati molto fragili. Si è corsi ai ripari mettendo una serie di bastoni negli ingranaggi della risoluzione. Siamo ora alla faticosa ricerca di una nuova prevedibilità. Sarà quella della Brrd a regime o una versione all’italiana di cui stiamo facendo la prova generale? Ah, saperlo! Per ora pensiamo a Carige, ognuno affronterà l’imprevisto con la sua piccola sfera di cristallo.

Sui titoli di coda

"Tesoro [con la "t" maiuscola], mi si sono ristretti i mercati". È giunto il momento di prendere le opportune precauzioni? Non lo so, forse riuscite a vedere qualcosa con questo oggetto.

Palantir
Luca Erzegovesi
Luca Erzegovesi
Professore di Finanza aziendale

Mi interesso di finanza delle Pmi, crisi bancarie e nuovi modelli di business bancari.

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