Carige: audizione di Tria, aria di tregua

Giovedì 17 gennaio alle 13:30 (con un anticipo di mezz’ora) il ministro Tria ha fatto il punto su Carige in audizione nelle Commissioni riiunite finanze di Camera e Senato. Poche ore dopo il Consiglio dei ministri avrebbe approvato gli storici provvedimenti su reddito di cittadinanza e quota 100. Ha condotto l’audizione la presidente della Comissione della Camera Carla Ruocco. Trovate qui il video. Presento una sorta di verbale sommario, con alcune riflessioni conclusive sul clima nel quale governo e opposizioni stanno affrontando la questione bancaria.

Che cosa ha detto il ministro

La prima preoccupazione del ministro è stata quella di fare chiarezza sul percorso oggi studiato per la messa in sicurezza della banca genovese, anche per correggere alcune dichiarazioni riportate dai media (rilasciate anche da suoi colleghi di governo).

La relazione del ministro comincia con la ricostruzione dei fatti antecedenti il DL 1/2019:

  • la governance della Carige dopo l’assemblea del 20 settembre ha portato a un CdA con 7 membri della lista Malacalza, 3 membri lista Mincione, 1 per Assogestioni; nomina di Modiano presidente e Innocenzi AD nel CdA del 21 settembre;

  • l’ispezione Bce svolta nel 2018 ha portato a rilevare perdite che hanno determinato un indebolimento patrimoniale; il total capital ratio (TCR) si è ridotto al 10,88% contro un target dell'11,25%;

  • il successivo CdA di novembre dopo l’approvazione del rapporto trimestrale al 30 settembre, approva il piano di ripristino dei coefficienti patrimoniali anche nella prospettiva di aggregazione (con mandato a UBS per la ricerca di un partner); il piano prevede due fasi

    • immissione 320 milioni da Fitd con sottoscrizione prestito subordinato;

    • aumento di capitale 400 milioni garantito di fatto da impegno irrevocabile Fitd a sottoscriverlo fino a 320 milioni;

  • lo schema volontario del Fitd il 30 novembre approva la sottoscrizione del prestito di 320 milioni, e consente così alla Banca di rispettare il requisito di TCR; resta scoperto un deficit di 50 milioni solo rispetto alla guidance non vincolante;

  • nei giorni successivi la Bce approva la manovra e concede il rinvio del termine per il rispetto della guidance sotto due condizioni

    • completamento dell’aumento di capitale da 400 milioni

    • ricerca di un partner per l’aggregazione;

  • l’assemblea 22 dicembre non ha approvato, come noto, l’aumento di capitale per l’astensione dell’azionista Malacalza;

Per assicurare stabilità alla banca la Bce il 2 gennaio ha disposto l'amministrazione straordinaria, con nomina dei commissari Modiano, Innocenzi e Lener, i quali hanno definito azioni per definire un piano industriale finalizzato a un’aggregazione di mercato.

L'8 gennaio il Governo ha approvato il DL 1/2019, con lo scopo di predisporre un sostegno per evenualmente affrontare i requisiti patrimoniali definiti negli scenari avversi dello stress test, per assicurare piena fiducia nella banca in fase di amministrazione straordinaria.

Riassume gli interventi previsti dal DL:

  • garanzia Stato su emissioni obbligazionarie ed ELA ai sensi di DLgs 180/2015, sotto condizione di accertata solvenza della banca da parte della Banca d’Italia e della Bce; la richiesta va notificata anche alla Commissione che deve approvarla; richiesto piano che confermi la redditività e la capacità di raccolta delle banca senza sostegno pubblico;

  • autorizzazione Mef a ricapitalizzazione precauzionale con sottoscrizione azioni Carige per soddisfare requisiti ex stress test Bce 2018; così si evita avvio risoluzione; serve piano di ristrutturazione e burden sharing azionisti e obbligazionisti subordinati, i secondi mediante conversione in azioni di nuova emissione, i primi per la diluizione conseguente all’ingresso di nuovi azionisti e alla conversione dei subordinati. Ma nel caso di specie, gli unici subordinati in essere sono quelli sottoscritti attraverso il Fitd.

I commissari hanno intrapreso iniziative per assicurare la stabilità del governo societario, il rafforzamento patrimoniale e il derisking.

Il Governo aspetta il rilascio del piano industriale entro fine febbraio, auspicando che agevoli la ricerca di un partner. Infatti auspica una soluzione privata che consenta il superamento delle attuali criticità:

Ha precisato che la garanzia sulle emissioni obbligazionarie non comporta la ricapitalizzazione, e non ostacola la ricerca di partner privati.

La banca ha già avanzato l’istanza di richiesta della garanzia statale. Gli organi tecnici del Mef hanno notificato la richiesta alla Commissione e confidano in una pronta risposta.

Quanto all’ipotesi di ricapitalizzazione precauzionale, ha precisato che è prevista soltanto per ampliare lo spettro delle soluzioni per tutelare i risparmiatori, ed è stata inserita soltanto a scopo (appunto) precauzionale rispetto a un’eventualità remota e del tutto residuale. Tuttavia, per essere preparati nel caso in cui si decidesse di attuare tale intervento, sono state avviate le interlocuzioni con le istituzioni europee per concordare importo, termini e scadenza entro cui restituire la banca al mercato. L’intervento sarebbe temporaneo, per cui è improprio assimilare la ricapitalizzazione precauzionale a una nazionalizzazione.

Gli interventi e le domande dei parlamentari

Le domande degli esponenti dei vari gruppi parlamentari hanno puntualizzato aspetti del decreto Carige, e hanno sollevato numerose altre questioni. Li riassumo senza citare i singoli intervenuti.

Alcuni hanno criticato il fondo per l’indennizzo dei risparmiatori (FIR, a rischio di bocciatura in Europa) e le norme che hanno bloccato i PIR. Altri hanno invece chiesto di non trasformare il decreto Carige in un provvedimento omnibus (come avvenuto per il decreto Genova). Diversi hanno sollecitato la pronta nomina del presidente Consob. C’è chi ha contestato la tempestività dell’intervento, che sarebbe stato indebitamente ritardato per l’inefficace vigilanza della Banca d’Italia che non ha diffuso informazioni sensibili sulla salute del sistema bancario. Son state chieste rassicurazioni su adeguatezza dell’aumento di capitale e tutela dei piccoli azionisti.

Altri hanno richiesto di cogliere occasione del decreto per interventi più ampi di messa in sicurezza di tutto il sistema, la cui solidità è minacciata da Ifrs 9 e linee guida Bce su Npl, a cui si è aggiunto l’impatto dello spread per l’eccessiva esposizione al rischio sovrano di molte banche italiane. La questione della solidità del sistema bancario dovrebbe essere sollevata anche in sede europea per modificare la normativa europea (Brrd). Ricordata anche la quota del 4% detenuta da Carige in Banca d’Italia, superiore al massimo del 3%, auspicando che la differenza possa essere liquidata con riacquisto per il rafforzamento della banca.

Pochi e misurati gli interventi polemici o irridenti verso la maggioranza sulla "copiatura" del testo dal DL 237/2016 e sull’imbarazzo nel mettere a tema un salvataggio bancario durante la complicata discussione su legge di bilancio, reddito di cittadinanza e quota 100. Hanno invece prevalso gli apprezzamenti della convergenza trovata tra maggioranza e opposizione.

In merito alla nuova commissione di inchiesta sulle banche si è paventato il rischio di farne una battuta di "caccia agli scalpi" politici, mentre deve diventare un momento di proposta normativa su ampio orizzonte e per concepire e attuare azioni preventive (non una commissione "speciale" che duri due anni).

Le risposte del ministro

Nel rispondere alle numerose domande il ministro Tria ha chiarito una serie di punti (il testo seguente riassume le sue affermazioni, i miei commenti sono tra parentesi quadre):

  • la "copiatura" del testo del DL 1/2019 dal DL 237/2016 dipende dal fatto di aver applicato le stesse norme della Brrd a due casi specifici analoghi;

  • quanto alla responsabilità del Governo nell’aver provocato la crisi di Carige, l’aumento dello spread non ha pesato nulla; anzi, il Governo ha cambiato la manovra 2019 per far rientrare lo spread; le difficoltà della banca dipendono da una crisi di governance, forse da carenze delle politiche aziendali che non hanno migliorato la redditività, anche per la non sostenibilità del modello di banca autonoma;

  • il Governo non è intervenuto in ritardo, né c’è stata una vigilanza inefficace della Banca d’Italia. Al contrario, l’informazione dalla Banca d’Italia al Ministro dell’economia è stata costante da luglio in avanti. Il Governo, sempre informato, ha agito soltanto quando questo era richiesto per prevenire un problema di crisi bancaria. Il precedente apporto dello schema volontario del Fondo interbancario è stato una soluzione privata, giustificato dalla convenienza del sistema a prevenire un futuro intervento di rimborso dei depositi. Intervento monitorato, non ordinato, dal Governo. Doveva essere poi completato dall’approvazione dell’aumento di capitale, che non c’è stata. L’amministrazione straordinaria è quindi servita per evitare una reazione negativa dei mercati alla mancata approvazione dell’aumento; ma anche i commissari dovranno comunque ottenere l’approvazione degli azionisti all’aumento di capitale che sarà riproposto tra qualche settimana;

  • l’intervento del Governo ha avuto come scopo concreto e immediato la stabilizzazione della liquidità della banca per consentire una soluzione di mercato (aumento di capitale); la ricapitalizzazione precauzionale è un passaggio eventuale che deve essere comunque, nel caso, approvato dalla Bce e dalla Commissione; richiede un piano industriale proposto dalla banca;

  • si stanno definendo gli aspetti tecnici della garanzia sulle emissioni obbligazionarie;

  • Governo e Autorità tecniche si sono mosse rispettando obblighi di riservatezza per non turbare i mercati;

  • rispetto al timore o all’auspicio che il decreto si allarghi ad altre banche, questo allargamento non ci sarà; tra l’altro un decreto legge deve essere giustificato da ragioni di urgenza ed è pertanto uno strumento legislativo adatto soltanto per affrontare casi specifici; interventi di portata generale richiedono molta riflessione e non possono essere affrontati con questo strumento legislativo [il ministro non ha comunque detto che non servono];

  • il sistema bancario italiano si è andato negli anni consolidando; gli alti NPL sono dovuti principalmente alla doppia recessione e solo in casi limitati, pur clamorosi, a mala gestione; il programma di riduzione degli Npl è stato rispettato; però possono esserci situazioni singole di altre banche che potrebbero avere "in pancia" problemi anche grossi; occorre evitare che le difficoltà emergenti in questi casi isolati siano percepite come difficoltà sistemiche, perché non lo sono, ed è pericoloso diffondere l’impressione che ci sia un problema sistemico tra risparmiatori e investitori; [prepariamoci però ad affrontare i casi isolati]

  • le comunicazioni della Bce su Srep e obiettivi di riduzione dei crediti deteriorati non creano problemi, sono la declinazione di interventi programmati; è chiara l’esigenza che le Autorità europee non forzino la riduzione dei rischi oggi per creare problemi più grossi domani (eterogenesi dei fini);

  • sulla nomina del presidente Consob, auspicio che avvenga il prima possibile, non è competenza del ministro dell’economia;

  • sul problema del fondo indennizzo FIR ci sono stati emendamenti parlamentari che hanno portato a una versione diversa da quella validata dalla struttura del Mef; il nuovo testo presenta potenzialmente problemi di infrazione alle regole sugli aiuti di Stato; tuttavia, ad oggi non c’è nessun segnale da parte della Commissione europea di critiche o avvio di procedure di infrazione riguardanti il FIR;

  • c’è un clima nuovo oggi, [lo avevano già detto alcuni intervenuti; nessuno si è espresso contro il provvedimento preso, compresi gli esponenti delle opposizioni];

Mie riflessioni conclusive

Durante l’audizione non è emersa alcuna novità sostanziale sulle vicende pregresse e sul piano in corso di attuazione. La versione di Tria collima con la serie di fatti accaduti e dichiarazioni da lui stesso rilasciate nei giorni scorsi, sulla base delle quali avevo descritto la marcia di avvicinamento della banca genovese all’approdo finale.

Il ministro mi è parso sereno durante l’audizione. Mi ricollego alla sua constatazione del "clima nuovo" durante il confronto con i parlamentari. In effetti l’avevo notato anch’io, e fa ben sperare. Ne deduco che c’è sintonia tra i ministri, le strutture tecniche del Mef, la Banca d’Italia che hanno seguito direttamente il dossier, e che la linea seguita riscuote la sostanziale approvazione dei gruppi parlamentari. Anche i rapporti con la Bce e la Commissione paiono impostati sull’ascolto reciproco e sul mettersi d’accordo prima per non correre dietro alle emergenze dopo.

Possiamo essere lieti di questo, ma non basta. Servono dei passi in avanti. Di solito, attorno al cantiere in cui si cerca di risolvere un problema grave e urgente non circolano personaggi nullafacenti e rissosi perché non trovano nessuno che ha il tempo di ascoltarli e perché le cose che hanno da dire sono completamente inutili. Tuttavia, all’assenza di obiezioni pratiche e azioni di contrasto fanno da contraltare correnti politiche e di opinione che si pongono in opposizione radicale ai soggetti che stanno portando avanti il percorso imboccato. Alludo alle strutture tecniche del Mef, alla Banca d’Italia, alle Bce, alla Commissione europea, al Fondo interbancario.

In altre parole, sulla soluzione contingente non si dà battaglia, ma restano obiezioni e contrapposizioni di fondo sulla cornice entro la quale quegli interventi sono portati avanti. Di quali correnti, o movimenti, sto parlando?

Mi preoccupa di più, nell’immediato, l’insistenza con la quale numerosi parlamentari M5S puntano a chiamare in giudizio la Banca d’Italia per incolparla dei molti guai che sono successi (difettosa vigilanza sulle banche cadute in dissesto) e delle scelte che ne hanno amplificato le conseguenze (accettazione dell’Unione bancaria europea, mancato veto sul bail-in, ecc.). I senatori Gianluigi Paragone ed Elio Lannutti sono i front man del movimento anti-palazzo Koch. Il loro slogan è "Non si possono dare aiuti pubblici senza accertare le responsabilità della Banca d’Italia". E se non mi credete, leggete questo tweet:

Si tratta di un tema già suonato nella Commissione d’inchiesta sulle banche della passata legislatura, con l’attacco (in senso anche musicale) di Matteo Renzi seguito da una jam session che lo ha sovrastato. Ora i session men vogliono concedere il bis con la nuova analoga Commissione già approvata dal Senato e ora in esame alla Camera. È un tentativo completamente fuori tempo e fuori contesto. Ho argomentato, a lungo, nella stagione 2017 di questo blog su peccati e peccatori, senza arrivare all’assoluzione generale o all’amnistia (entrambe fuori delle mie competenze). Ma non per questo mi stancherò di denunciare i tentativi strumentali di scaricare le colpe su qualcuno, a cominciare dalle autorità di vigilanza, per attizzare la rabbia popolare in vista di un tornaconto elettorale o per scaricare il prezzo dell’impopolarità che si paga gestendo le crisi, tanto quelle passate (Renzi), quanto quelle presenti e future (M5S e Lega).

L’altro tema evocato da Di Maio ogni volta che parla di banche è la punizione dei banchieri colpevoli. Delle cattive condotte più gravi si sta occupando la magistratura. Non serve a nulla creare tribunali politici che agiscano in parallelo, con l’effetto opposto di fare dei capi-azienda delle banche fallite degli eroi tragici (lo abbiamo visto nelle audizioni di Consoli e D’Aguì per Veneto banca, potremmo ripetere la scena con Berneschi per Carige). Parlamento e Governo devono dedicarsi al 99,9% a gestire le crisi in atto con soluzioni immediate che siano efficaci e interventi strutturali che evitino più gravi problemi futuri. Alcuni dei parlamentari intervenuti oggi la pensano come me: la Commissione d’inchiesta non deve essere piegata alla cattura di scalpi politici, ma diventare un luogo di elaborazione di proposte normative di ampio respiro. L’ho molto apprezzato.

Vedo un secondo pericolo negli opposti estremismi in materia di euro, banche, finanza pubblica e privata. I social sono invasi dagli scontri verbali tra chi vuole uscire dall’Unione monetaria e bancaria e chi la sostiene come una cosa buona e giusta a priori. Faccio fatica a dare un peso politico alle due posizioni.

La prima, quella dei no-€uro, è fortemente rappresentata nella Lega, dove aveva come punti di riferimento Claudio Borghi e Alberto Bagnai. I due esperti economici sono ora presidenti di commissioni parlamentari e non meraviglia che abbiano assunto un atteggiamento più realista e conciliante con le istituzioni europee. Tuttavia, la base disorientata e inquieta nutre ancora il desiderio di smontare l’impalcatura dell’euro, un pezzo alla volta o di schianto. È composta da persone di provenienza varia, con le quali ho sporadici contatti su Twitter. Intuisco che molti di loro abbiano perso molto (la loro azienda, investimenti in titoli) per la recessione e le crisi bancarie.

Quanto pesano politicamente i demolitori? Lo vedremo dopo le elezioni europee. Nel frattempo resta un’aura di incertezza sull’eventual break-up che contribuisce tra le altre cose a tenere alto lo spread (che c’entra molto con le difficoltà presenti e future delle banche, per quanto il ministro Tria tenda a minimizzare).

I lealisti dell’euro sono persone più selezionate, con curricula ineccepibili. Lavorano nell’accademia o in istituzioni internazionali, think tank, mercati finanziari, grossi studi legali. Portano fior di argomenti scientifici ed evidenze statistiche nel dibattito, e questo li induce a essere molto sicuri delle proprie posizioni. Tacciano di incompetenza i loro avversari sovranisti, e hanno il più delle volte ragione sulle questioni da competenti. Non sono però sempre aperti alla lettura dei fatti, alla realtà con le sue imperfezioni ed esigenze pratiche, prima fra tutte quella di mettersi d’accordo in qualche modo per andare avanti.

La disputa ideologica tra i due campi degenera facilmente in scambi di insulti con gli avversari o in momenti autocelebrativi tra compagni. Ognuno dice la sua, e dal dibattito (non solo tra avversari, ma anche tra amici) è quasi impossibile che escano proposte concrete, condivisibili, sui cui lavorare.

Che cosa accomuna i due schieramenti? L’attacco all'establishment finanziario nazionale (dirigenti ministeriali, autorità, banche, editorialisti "di regime"), con motivazioni diverse: traditori dell’interesse della Nazione per i primi, sistema di potere arroccato in difesa dei propri privilegi per i secondi. E il povero establishment, che alla fine deve togliere le castagne dal fuoco, fa quello che può, tiene una via di mezzo non sempre convincente tra le due posizioni: non mette in discussione l’appartenenza all’Europa, ne accetta le regole, ma cerca spesso di applicarle con elasticità. La critica all’impianto normativo e di policy, che pure avrebbe molte fondate ragioni, non si traduce mai in giudizi strutturati, in proposte di riforma alternative al mainstream franco-tedesco sulle quali aggregare il consenso di altri paesi membri.

Che fare per evitare lo stallo e innescare un cambiamento virtuoso? Non respingo a priori l’idea di una seconda Commissione d’inchiesta. Non può e non deve diventare la tribuna di un solo gruppo parlamentare. Per evitare questo rischio di cattura, i lavori della Commissione dovrebbero essere preceduti (o accompagnati) dall’elaborazione di un rapporto sul sistema bancario e finanziario italiano affidato a una squadra mista a cui contribuiscano banche, altri intermediari, autorità di vigilanza, istituzioni, accademici, associazioni di categoria. Cito come precedenti illustri il Rapporto Radcliffe del 1957 nel Regno Unito, o il rapporto sul sistema finanziario itliano del 1981 commissionato dal ministro del Tesoro.

Esemplifico per dare un’idea. Quello che immagino è un lavoro serio, originale, immaginativo, capace di elaborare proposte di riforma ambiziose con solide ragioni che le giustificano. Un lavoro supportato empiricamente, con indagini sul campo, andando a sondare la soddisfazione di chi lavora con le banche, per cogliere bisogni scoperti, disfunzioni, cattive condotte. E mettendo al centro la rivoluzione digitale che sta investendo il settore.

E non mi si dica che un lavoro del genere non serve a nulla perché ci muoviamo in quadro di politica monetaria, regolamentazione e vigilanza sovranazionale, per cui il problema è recepire o rigettare in toto l’appartenenza a un "noi" più vasto. Niente di più fuorviante. Ogni paese deve far funzionare nella cornice dell’Unione bancaria le sue istituzioni, le sue banche, il finanziamento del suo sistema produttivo. Sarà bellissimo quando sarà perfettamente integrato (se mai ci arriveremo), ma partiamo dalla situazione di oggi, dove c’è tanta manutenzione straordinaria da fare per preparare il nostro sistema all’eventuale integrazione, e in ogni caso per farlo funzionare bene durante e dopo. E in ogni caso i modelli europei coprono la parte alta del sistema finanziario (i mercati e i gruppi bancari sistemici), resta la parte domestica (banche medio-piccole, altri intermediari) che nei secoli ha sempre mantenuto tratti differenziati tra paesi. Va ripensata, riprogettata, ristrutturata. Se non lo si fa, sarà semplicemente messa in disparte e morirà di lenta consunzione.

Abbiamo bisogno di darci uno scopo alto e al tempo stesso di essere molto concreti nell’affrontare i bisogni e i problemi piccoli e grandi. La sfida maggiore è far convivere le tre anime (demolitori, lealisti, establishment) in un lavoro che alla fine trovi una sintesi in cose da fare che tutti ritengono utili per il Paese. Ci aspetta un lungo cammino dalle posizioni estreme verso una strada comune. Affrontando i problemi immediati, spero che, a poco a poco, si smantellino i disegni programmatici astratti del contratto di governo (un sistema finanziario nazionalizzato e separato dai mercati finanziari internazionali che sussidia l’economia, alla fine bisognoso di una moneta nazionale quindi destinato a uscire dall’euro).

Ho percepito durante l’audizione un clima che può favorire un tentativo del genere, pur in un quadro politico concitato e ondivago come non mai. Non lasciamo cadere questa possibilità.

Luca Erzegovesi
Luca Erzegovesi
Professore di Finanza aziendale

Mi interesso di finanza delle Pmi, crisi bancarie e nuovi modelli di business bancari.

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